La “bellussera” è una forma di allevamento della vite tipica della zona trevigiana. Anche detta dialettalmente “beusèra” o “beussi’ venne inventata sul finire del 1800 dai fratelli Bellussi , a Tezze di Piave, per far fronte ad esigenze produttive e ambientali. In qualche anno venne perfezionata a quella forma che oggi si può ancora vedere in alcune zone delle pianura trevigiana e friulana.
La bellussera ben presto si diffuse su tutto il territorio delle Marca e non solo. Era da pochi anni arrivata la Peronospora in Italia, malattia fungina importata dall’ America con gli scambi commerciali, ed occorreva trovare delle soluzioni per fronteggiare questa nuova ampelopatia, così ai fratelli Bellussi venne in mente di alzare l’altezza del cordone della vite per sfuggire all’umidità che favoriva lo sviluppo del patogeno.
Il sistema è costituito da dei pali in legno posti sopra un blocco di cemento (poi vennero adottati anche i pali in cemento) alti circa 4 metri ad una distanza di circa 4 metri lungo la fila e circa 6-8 metri sull’interfilare. Su ogni palo poi, vengono legati degli anelli in ferro detti “sčiòna” in dialetto, vicino alla punta , da cui partono i fili di ferro zincati che vanno a sorreggere i cordoni della vite. Sui pali esterni vengono legati ulteriori fili di ferro ancorati al suolo, che fungono da tiranti e consolidano l’intera struttura (i pali infatti non sono piantati nel terreno). Dall’alto, questo complesso di fili assume la classica forma romboidale, rendendo le bellussere molto suggestive. Oltre ai pali spesso venivano piantate piante arboree come il gelso, o alberi da frutto, in questo caso si parla di viti “maritate” con la pianta arborea, così le famiglie potevano sfruttare la duplice funzione dell’albero sia come tutore vivo, sia per produrre frutti. Su ogni palo vengono piantate solitamente 4 viti, allevate in modo da creare un cordone (detto “braccio” o “raggio”) che si sviluppa lungo i fili di ferro, come si può vedere nella figura 2.
Questa forma di allevamento è figlia di un’agricoltura promiscua, permetteva infatti alle famiglie di produrre vino (che una volta era considerato un alimento, perché forniva molta energia) e di coltivare nello stesso appezzamento l’interfila per produrre cereali, ortaggi o foraggio per gli animali, fondamentali per il sostentamento della famiglia.
La bellussera è molto rispettosa della fisiologia della vite, infatti l’inclinazione del cordone favorisce la circolazione del flusso linfatico verso l’alto. La vite, infatti, è una pianta a sviluppo acrotono, e naturalmente tende a svilupparsi verso l’alto. Le cultivar molto vigorose trovano in questa forma di allevamento un buon equilibrio vegeto-produttivo, poiché riescono a “scaricare” la loro vigoria. La produzione è data dal numero di capi a frutto che si legano lungo il cordone permanente, oltre che dal numero e della lunghezza dei cordoni, quindi, può essere modulata in funzione della varietà di vite, tipo di suolo e obbiettivo enologico. I grappoli non subiscono mai scottature, sono sempre ben arieggiati e vengono raggiunti più facilmente dai trattamenti fitosanitari, poiché la chioma si sviluppa nella parte superiore come nel tendone (figura 1). Perciò è da sfatare il mito per cui nelle bellusere non si produca uva di qualità, la produzione, se correttamente gestita permette di avere grappoli sani e favorisce la sintesi di antociani e precursori aromatici, aumentando la complessità dei vini.
Le bellusere oggi sono quasi del tutto scomparse se non in alcune zone come nelle terre del Piave, culla di questa forma di allevamento, dove si coltiva il Raboso Piave. Le ragioni della scomparsa sono legate principalmente alla scarsa meccanizzazione (poiché gran parte delle operazioni colturali vengono fatte a mano) ma anche per i disciplinari di produzione delle denominazioni igt e doc che fissano dei limiti minimi di piante/ettaro (parzialmente influenzati dal modello francese). Un alto numero di ceppi/ettaro non significa sempre però produzioni di qualità, soprattutto con cultivar molto vigorose come quelle trevigiane, che hanno bisogno di chiome molto espanse per avere un corretto equilibrio vegeto-produttivo e avendo suoli “ricchi” si stressa la pianta, con conseguenti uve di minor grado zuccherino e più acide oltre che pareti fogliari molto folte, perciò varietà come il Raboso Piave ben si sposano con la bellussera e da diverse prove fatte si è visto che è una delle migliori forme di allevamento per avere produzioni di qualità con questa cultivar.
Concludendo la bellussera è un patrimonio storico-culturale della vita contadina veneta, in particolar modo quella trevigiana; perciò, è importante tutelarla sostenendo le aziende che si impegnano a valorizzare e mantenere vive questi vigneti e le tradizioni di un tempo.